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martedì 14 marzo 2017

Lecce: Solidarietà con la sindacalista minacciata

Ph: rete della conoscenza


La lotta al caporalato è ormai estesa su tutto il territorio nazionale. Da Nardò a Pachino, e più a nord, fino nell’Emilia e per la vendemmia del Moscato d’Asti in Piemonte. Ovunque in Italia si utilizzano persone come fossero oggetti, macchinari. Il reclutamento di mano d’opera scavalca le leggi e gli ordinamenti e si appalta direttamente ai caporali che forniscono uomini e donne, non solo stranieri ma anche italiani, stabiliscono i prezzi, lucrano sulla “mediazione” e sugli stessi lavoratori imponendo loro un prezzo per il trasporto, uno per i panini, uno per l’acqua da bere.  Poi, finita la stagione delle angurie a Nardò, le deportano in Sicilia per i pomodori, in autunno in Piemonte per la vendemmia, con un giro senza fine. E i datori di lavoro veri, i proprietari dei campi, sono italiani, votano in Italia, si lamentano per le tasse italiane, chiedono rimborsi al governo e spesso sono esenti da ticket per reddito basso.
E sono pugliesi, siciliani, calabresi, piemontesi dell’astigiano e dell’alessandrino.
E pagano caporali che girano molto spesso armati, che minacciano chi vuole rendersi conto.
Certo, stupiscono gli atteggiamenti di chi dovrebbe controllare, a volte è talmente tutto alla luce del sole che non ci si rende conto come mai, con controlli serrati e magari verifiche catastali, non si possa giungere all’identificazione dei proprietari dei campi in cui lavorano questi sfruttati.
Tutto pare lasciato al “buon cuore” di sindacalisti attenti che vanno nei campi, che parlano con i lavoratori schiavizzati, che provano ad aiutarli nel rivendicare diritti anche minimi. Spesso mal visti non solo dai caporali, ma anche da taluni amministratori comunali che hanno come stella cometa il detto “da noi la mafia non esiste”, negando così le evidenze, negando che c’è mafia e mafia, che ci sono associazioni propriamente mafiose ed altre che delle mafie assumono i comportamenti pur non essendolo dal punto di vista strettamente giuridico.
E c isono amministrazioni comunali, Nardò giusto per citarne una, che rifiutano sdegnosamente di costituirsi parte civile in un processo che vede alcuni suoi cittadini accusati per l’infamante reato di “riduzione in schiavitù”. Un tempo si diceva “pecunia non olet” ora vien da pensare che neppure i voti puzzano.
Così oggi, anche se con voluto ritardo, esprimo tutta la mia solidarietà con la sindacalista leccese che sempre si è occupata di lotta al caporalato. Perché ha ricevuto, tramite whattsapp la foto di un ratto impiccato. Chiaro ammonimento per chi chiede legalità e diritti elementari.
Il ritardo nell’esprimere la solidarietà è perché se ne riparli, per non far cadere sotto silenzio la vicenda. Perché l’ignobile episodio non faccia la fine della altre minacce ricevute dalla stessa sindacalista in passato. Occorre ricordare, la memoria è preziosa.
La CGIL si è espressa con le parole della segretaria Valentina Fragassi:  “Da tempo abbiamo intrapreso, nel nostro territorio, una lotta in luoghi di lavoro governati da un sistema diffuso di illegalità e sfruttamento. Siamo coscienti che il nostro intervento stia seriamente infastidendo chi lucra sulla pelle di lavoratori e lavoratrici deboli e ricattabili. Una consapevolezza che ci convince ad andare avanti con sempre più determinazione. La strada per i diritti non è mai stata facile, ma non faremo un passo indietro.” E il fatto è stato denunciato alle autorità competenti, tuttavia l’impegno del sindacato, pur indispensabile, necessita della solidarietà di quanti credono in un mondo diverso, espressa in qualunque modo si voglia e si possa fare. Soprattutto con la vigilanza civile e la denuncia delle storture che si vedono.

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