“La nostra meta non è
mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose” (Henry Miller)
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Quante volte ci si chiede qual è la meta? Il lavoro per
alcuni, la pensione per altri, gli occhi della lei o del lui che scrutano,
scavano, guardano il dentro….
Qual è la meta? Forse la collina lassù, nel basso
Monferrato, persorrere la strada da San Salvatore a Lu Monferrato facendosi
cullare dalla sinuosità del basso crinale che l’auto percorre, magari con una
musica dolce alla radio. Vedere viti e campi, ville belle di gente ricca, e
ricordarsi quel giorno con lei. L’auto rubata al papà “speriamo non gli serva
altrimenti se ne accorge” e l’emozione di quel bacio. Terra morbida, dura da lavorare un tempo, ora
trattori grandi come astronavi fanno tutto…
Qual è la meta? Forse, chissà, Genova e il suo mare, il suo
porto antico, il faro, un ricordo d’altri tempi. Per andare a Genova l’A7, la
“camionale” poi chiamata autostrada, con mille curve.
La meta, forse, è solo il ricordo e la voglia di tornare in
una giornata, un luogo remoti nel tempo. “Il passato non torna, fattene una
ragione” ma si sa, come si dice in paese spesso vogliamo “battere la fisica”. E
allora ci si tuffa in quel giorno, in quel luogo, allora si sente il profumo di
primavera, e si vedono fiori nei campi. Da quelle parti c’è Santo Stefano Belbo
con la casa di Pavese e quella di Nuto. C’è ancora, in lontananza, la saggezza
e la lentezza della vita di collina, salire e scendere campagne, viti coltivate
ramo per ramo. Quando la miseria sembrava lasciare lentamente il posto ad un
benessere diverso, diffuso. Non scordandosi però di lasciare ai poveri la
povertà. Però potevano riscattarsi, magari andare a lavorare in fabbrica. Vennero i partigiani in quelle colline,
vennero i crucchi e quelli di Salò. Fu guerra guerreggiata. Però ora è solo
ieri, ora sono lì, lei aveva occhi diversi mentre mi accompagnava a San
Salvatore passando da Lu. E rideva
parlando di cose allegre quando ci fermavamo a guardare tramontare il sole, un
po’ di emozione, un po’ di serenità… Il mondo sembra tutto colline da dove
siamo, sinuose, eleganti, pulite, sensuali… “Sembra una distesa di tette” diceva
lei ridendo forte…
Dov’è la meta? Chissà, forse è al confine fra Italia e
Francia una Pasqua di molti anni fa, quando portavamo vino e i francesi erano
incazzati con gli italiani che esportavano vino... Da vendere però, noi avevamo
solo sei bottiglie per gli amici avignonesi. Loro gestivano un bar trattoria ai
piedi del Mont Ventoux, dove un giorno lontano morì un corridore del Tour, si
chiamava Tommy Simpson, era inglese, il suo cuore non resse a quella salita
maledetta. Nel 2000 la tappa venne vinta dal mitico Pantani. Ventoso il monte,
mistral il vento che lo schiaffeggia. Gli amici francesi ci accolsero con il
Pastis, non si poteva rifiutare... anche due se era il caso, e anche il terzo se
insistevano.
Poi giocammo con le miniboulles, piccole bocce. Il lunedi di
Pasqua un immenso tavolo nei campi con molto cibo… come si conviene… e fiumi di
vino.
Dov’è la meta? Forse solo e banalmente un po’ di serenità, quella
che chi non la saprà mai trovare “senza adrenalina non si muove il pennello…”
mi dice un amico che dipinge. “Riesco a creare solo quando sono teso…” e allora
cerchiamo serenità cerchiamo di ridere, di cuore… e forse, chissà, si può anche
creare ridendo.
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